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18-03-2021

Il comparto marittimo si deve accontentare di un ministero “delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”

Nicola Silenti

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La tradizione marinara del Bel Paese è orfana del suo Ministero della Marina mercantile fin dal 1993, quando si decise per l’accorpamento del dicastero nel nuovo ministero dei Trasporti e della Navigazione: una scelta da cui è derivata, a cascata, una serie di ulteriori decisioni infauste e la conseguente dispersione di competenze e responsabilità. Sarebbe stato invece ragionevole che a disporre della materia relativa al settore marittimo fosse stato chi ha il polso della situazione. I quasi venticinque anni di assenza del ministero della Marina mercantile bruciano anno dopo anno, come una ferita aperta nella carne della gente di mare. Le conseguenze nefaste avevano iniziato a farsi sentire presto, tant’è che almeno dagli inizi degli anni Duemila, rilevando quanto sia strategicamente importante l’Italia dal punto di vista marittimo, avevamo suggerito l’istituzione di un ministero del Mare che fosse un punto di riferimento unico per tutti gli addetti ai lavori, che facilitasse la vita a tanti per quanto riguarda gli adempimenti burocratici, l’informazione e la formazione degli addetti ai lavori.

Il comparto marittimo italiano ogni anno apporta beni e servizi per valori pari a 34 miliardi di euro (2% del PIL) e acquista presso le altre branche dell’economia forniture per 20 miliardi di euro, per non parlare dell’imperscrutabile indotto turistico e commerciale con un settore che occupa almeno 530 mila persone. Diversi Paesi europei con interessi marittimi sono andati e stanno andando nella direzione della creazione di un ministero dedicato e questa idea oggi sta trovando sempre più il favore del cluster marittimo italiano. Peraltro, negli ultimi anni del post-Brexit, l’Italia vede aprirsi una finestra di opportunità che, se colta tempestivamente, potrebbe consentirci di ricoprire un ruolo sempre più rilevante di guida per le politiche marittime dell’Unione Europea.

Un Ministero del Mare, dicevamo, offrirebbe inoltre alla portualità italiana una visione d’insieme tale da agevolare le interconnessioni fra porti, reti stradali e ferroviarie. Lo sviluppo in termini di logistica integrata e di “smart logistics” potrebbe trovare un punto chiave nelle trasformazioni a cui stiamo assistendo da alcune settimane.

In questi giorni il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti diviene, per opera del neo-ministro Enrico Giovannini, “Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”: questo il nuovo nome approvato dal Consiglio dei Ministri. Diventa dunque un ministero all’insegna della rivoluzione verde (come l’altro istituto di nuova creazione, il Ministero per la Transizione Ecologica).

Il cambio di nome dovrebbe contribuire all’allineamento alle attuali politiche europee, per far ruotare le politiche intorno ai cardini del Next Generation Eu, nonché di Agenda 2030. Obiettivo dichiarato è la promozione di una ripresa economica nell’ottica dello sviluppo sostenibile.

Quali scenari potrà aprire sul settore marittimo questa direzione impressa verso la sostenibilità? Le vie del mare e il settore navale sono essenziali per lo sviluppo di trasporti ecocompatibili e potrebbero ricevere un’attenzione maggiore, in questo senso. Certamente la nuova denominazione è lontana dall’attuare un avvicinamento all’idea di un Ministero del Mare. Occorre comunque chiedersi se il suddetto ministero “delle infrastrutture e della mobilità sostenibili” sarà in grado di aggiungere valore nell’ambito delle riforme volte ad aumentare la competitività del sistema economico, con interventi anche di ammodernamento e con nuovi stimoli sul piano occupazionale. Solo il tempo mostrerà gli esiti di queste ed altre decisioni politiche.

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